Abituati come siamo a mangiare in fretta e furia, in questo mondo che corre sempre più, abbiamo perso quasi del tutto la capacità di apprezzare i piccoli particolari che rendono eccezionalmente bello ciò che mandiamo giù.
Fortunatamente esistono ancora le eccezioni che fanno la regola. Si tratta di fotografi, artisti nel vero senso del termine, che nei loro capolavori sono stati in grado di catturare immagini della vita quotidiana viste nella matrice spettacolare del modernismo made in Warhol. I soggetti di questi scatti? Semplicissime pietanze. I due fotografi in questione? Beth Galton e Ryan Matthew Smith; entrambi americani, entrambi vincitori di svariati premi, entrambi direttori creativi di note compagnie del nuovo continente.
Si sa, in ambito artistico non si copia mai nulla ma si prende spunto da un lavoro precedente per creare qualcosa di nuovo, qualcosa che rimanda ai capolavori ispiratori nella sua forma più generale ma che si è chiaramente evoluto nella propria interiorità. Beth Galton è senza dubbio la geniale mente creativa che sta dietro al progetto per cui oggi, a distanza di qualche anno, è divenuto famoso Ryan Matthew Smith. Se la Galton infatti aveva proposto i propri scatti nel 2009, acquistando una certa popolarità, Smith ha avuto la capacità nel 2011 e ancora nel 2013 di reinventare quel modo di fare arte interpretandolo in una chiave innovativa e più mobile.
La Galton nel primo decennio del ventunesimo secolo si era limitata, nell’accezione più positiva e meno restrittiva del termine, a fotografare le pietanze protagoniste dei suoi scatti in assoluta immobilità. Da ciambelle ripiene di marmellata rosa shock a gelato cioccolato e crema, da un terribilmente invitante hot dog in a stick a un piatto di intrecciatissimi noodles, da una confezione di comunissimi cereali a zuppe dai colori sgargianti. La fotografa statunitense semplicemente divideva a metà i suoi piatti per poterne rappresentare la sezione vista dal suo interno, una parte del cibo che non siamo abituati a vedere per motivi.. pratici. La Galton tiene a precisare che non è stato usato alcun programma digitale per modificare i propri scatti, tutto ciò di cui si è servita è stata una gelatina incolore che ha utilizzato per addensare le zuppe, i noodles e le bibite. Il risultato è stupefacente ed è inversamente proporzionale alla semplicità, che può sconfinare nella banalità, dei protagonisti degli scatti.
Nonostante si tratti già di un lavoro oggettivamente e innegabilmente originale Ryan Matthew Smith è riuscito nell’intento di aggiungere quel nonsochè che rende ancora più particolari le sue foto. Nel suo “Modernist Cuisine: The Art and Science of Cooking”, una serie di scatti pubblicati qualche mese fa e che sono stati anche ospitati in alcune gallerie di un certo calibro, Smith ha ripreso il lavoro della Galton rendendo più mobili i suoi soggetti.
Invece di rappresentare le pietanze già cotte e pronte da mangiare, immobili come statue dai colori di stampo Pop Art, Smith ha deciso di fotografarle in fase di cottura o addirittura ancora crude; la prospettiva comunque rimane la stessa: la pietanza della foto è divisa a metà in modo da mostrare il proprio interno. I due hamburger piazzati su un barbeque rovente sono ancora al sangue ma le fiamme sotto di essi promettono di cuocerli in un paio di minuti; gli spaghetti alla marinara saltano sotto la forza di un mano invisibile schizzando verso l’alto guidati alla carica da un gamberetto solitario; un prosciutto ben rosolato sui bordi cuoce a fuoco lento insaporendosi del tappeto di spezie su cui giace silenzioso mentre tizzoni ardenti riscaldano la pentola che lo contiene.
Insomma i soggetti di Smith, nonostante siano reali tanto quanto quelli della Galton, possiedono quella marcia in più che fa venire l’acquolina in bocca allo spettatore. A quanto pare quindi non bisogna essere un mago dei fornelli per essere un vero appassionato di cucina, a volte una reflex è una buona dose di pazienza è più che sufficiente.